Paola Mayer Pozzi

Ci ha lasciato così, dolcemente, nel suo appartamentino sui Navigli, alla periferia di Milano, tra i suoi colori, l’odore della trementina, la sigaretta, l’ennesimo ritocco di una sfumatura, di un riflesso, di una tonalità più lieve, che non era mai definitiva...

Negli ultimi dieci anni Paola Mayer Pozzi era tornata molto spesso e molte volte a Bologna, complice la distrofia muscolare e l’Oratorio dei Tearini di San Bartolomeo.

È stata una bella e lunga avventura la sua. Certo, con momenti esaltanti e altri tristi, come tanti, ma vissuti con particolare ed esaltante partecipazione e intensità. Dai bombardamenti sul centro di Bologna nel 1943 quando nacque, all’Istituto d’Arte di Via Cartolerie, nell’incontro con l’indimenticabile

Maestro Vasco Bendini, poi l’Accademia delle Belle Arti e l’insegnamento di Giorgio Morandi, la svolta della sua vita con lo straordinario e imprevedibile incontro a Castel d’Aiano, sull’Appennino bolognese con Wolfgang Mayer, auspice Carlo Buti e la sua famiglia.

Poi a Milano. L’incontro con i ragazzi, Emilio ed Ettore, in Valtellina, Brera, la Galleria Treves, di fronte alla sede del Corriere della Sera, le mostre in Italia e in Germania, l’insegnamento, la lunga collaborazione con la Fondazione Don Gnocchi. Una lunga attività fatta di toni lievi, leggeri, nella vita e nell’arte, come i critici hanno saputo cogliere e commentare, con quel suo atteggiamento aperto, espansivo, di immediata comunicazione che ispirava subito una tenera e affettuosa ammirazione.

Noi la conoscemmo molto giovane, una ragazzina decisa, di piccola statura e di grande carattere, con idee chiare e determinate; un carattere che traduceva quotidianamente nelle sue scelte di vita, ma anche nella sua pittura e nella sua interpretazione dei colori, in particolare quelli dei suoi paesaggi, ripresentati e rivisitati durante tutta una vita, sempre diversi, ma sempre riconducibili alla sua interpretazione di quanto di piacevole la circondava. Un suo quadro, molto importante, dal titolo “L’infinito”, quello dipinto dopo la prematura morte di Wolf, era, ed è, un inno alla vita e a quanto di piacevole, comunque, sempre ci rimane. E le scelte, le decisioni, i comportamenti furono coerenti, decisi e netti.

L’impegno ulteriore e forte con la Fondazione Don Gnocchi, nell’insegnamento della pittura ai ragazzi disabili, la scelta poi di sostenere la Uildm nella lotta alla distrofia muscolare, la presenza sempre vigile ma discreta accanto ai ragazzi e ai nipotini. Ma sempre con la concentrata e primaria attenzione alla sua pittura, con le opere esposte in permanente alla Galleria San Tomaso, nel centro di Milano, accanto al Piccolo Teatro.


È degli anni ‘90 la decisione di rientrare più spesso a Bologna, per essere più accanto a Bruno, affetto da Distrofia muscolare di Duchenne. E come? Con la sua presenza serena, con la sua arte, con la sua fede. Con tatto gentile e leggerezza. L’Oratorio dei Teatini e San Bartolomeo, in Strada Maggiore, diventano un importante punto di incontro, un riferimento obbligato per una serie di mostre collettive da lei allestite e coordinate, nelle quali sempre con grande garbo, discrezione e senso della misura, Paola Mayer Pozzi ci proponeva le sue opere accanto a quelle dei grandi maestri della Scuola della Grafica bolognese, Leoni, Manaresi, Guidi, Borgonzoni, De Vita, Zancanaro, accanto a quelle degli artisti, come Norma Mascellani, Bianca Arcangeli, Nino Beghelli e altri, che hanno donato a Uildm decine di opere di pittura e di scultura di grande valore. È di questi anni la positiva collaborazione con alcuni ragazzi del Dams e con i volontari della associazione, iniziative che hanno consentito a Uildm una straordinaria serie di esposizioni di notevole valore nella città e nei comuni della provincia.

Dolcezza e suggestiva discrezione erano il tratto più immediatamente evidente di Paola Mayer Pozzi, che però non nascondeva la sua grande determinatezza delle sue scelte di vita come nelle opzioni artistiche e nelle decisioni operative.

Le due ultime raccolte per alcune mostre personali “Dipinti dell’animo” e lo “Scrigno dei Ricordi” hanno una connotazione netta e inconfondibile: la valorizzazione di un vissuto intenso e piacevole nel quale la perdita di alcuni affetti intensamente affrontati (il marito, i genitori) viene riempita da questa grande e profonda passione: la pittura. E con essa la continuità della vita e la scelta delle solidarietà come motore di una carriera ormai consistentemente consolidata. Da Castiglione della Pescaia, nel 1971, la prima esposizione pubblica, alla Mostra collettiva dei Teatini a Bologna, nel 2008, l’ultima, è stato tutto un susseguirsi di rappresentazioni di sentimenti che ha saputo conquistare noi, i suoi amici, ma anche numerosissimi estimatori che hanno gradito e che hanno valorizzato la sua copiosissima produzione artistica e contornarsi con i suoi colori soffusi.

Quelli illustrati in questo sito sono gli ultimi lavori, non ancora nelle collezioni private, che Paola ha lasciato alla solidarietà.


La coerenza di una vita.

Roberto Alvisi e Stefanino Amaroli